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venerdì 7 ottobre 2016

DALLE INSONNIE AL SUICIDIO: MA AVREBBE VOLUTO FARLO PRIMA



                                                   
Salvatore Massimo Fazio,
filosofo, pedagogista, musicoterapeuta, pittore e scrittore catanese

DALLE INSONNIE AL SUICIDIO: 

MA AVREBBE VOLUTO FARLO PRIMA

 L'apologia dell’inutile e del nulla del filosofo catanese 

Salvatore Massimo Fazio




- Buonasera dottor Fazio. Siamo al lancio del suo nuovo libro, "REGRESSIONE SUICIDA", Bonfirraro editore: un titolo inquietante...
La copertina di "REGRESSIONE SUICIDA"

- Buona sera a lei; le spiace togliere il titolo accademico che come un cretino mi sono guadagnato all'università e che preferisco usare solo per ruoli burocratici!?

- Come vuole essere chiamato? La parola cretino non le sembra eccessiva?

- Mi chiami Massimo, come fanno tutti, o Salvo, come coloro che non mi conoscono. Per nulla, cretino è eccessivo, tutt’altro, è l'apprezzamento più alto per chi si piega alla sciocchezza dell'accademia.

- D'accordo. Ma il titolo del suo libro apre scenari che poco sembrano avere a che fare con la filosofia, o sbaglio?

- Probabilmente perché lei si è fermata alla filosofia accademica: da Talete a Gadamer. Non è detto che non vi siano nuovi pensatori o sviluppatori di tesi. Pensi a pensatori dello spessore di Diego Fusaro, Giuseppe Carbone o Davide Bianchetti. Filosofi puri. E comunque questa mia quarta opera è un trattato di filosofia sistemico, quasi mi vergogno ad averlo prodotto in 6 anni.

- “Regressione suicida” è il quarto libro dopo “I dialoghi di Liotrela. L’albero di Farafi o della sofferenza”, “Villa regnante” e “Insonnie. Filosofiche, poetiche, aforistiche”. Può delineare il percorso che il suo pensiero ha compiuto attraverso queste quattro opere?

È proprio da “L’albero di Farafi” che assieme ad un collega, Giovanni Sollima,
Da sinistra: il filosofo Salvatore Massimo Fazio
e lo psichiatra Giovanni Sollima
 ho voluto affrontare la tesi del dolore. Lavoravamo assieme in una struttura ad alta densità per disabili psichici, desideravamo onorare gli ospiti che vivevano il malessere amplificato dalla negazione della psichiatria svolta dai non addetti ai lavori. Da lì e dalla mia inclinazione al realismo, che in troppi dicono pessimismo (ma non mi sono mai lamentato) è partito tutto. Osservazioni su quella 'canagliata' che è il vivere, mi spingono a scrivere Villa Regnante, un'opera frivola rovesciata: tutto è nel dolore di chi pensa di comandare... Frattanto, di notte, a causa di una malattia che mi ha accompagnato per 11 anni, l’insonnia per l’appunto, scrivevo frammenti, tra malesseri e sofferenze, che conservavo. Anni dopo incontrai Manlio Sgalambro: li lesse e, dopo qualche tempo, mi invitò a pubblicare. Il filo conduttore è l'esistenzialismo che ti sopprime e tu, essere umano, devi accettare, subire e trovare conforto nell'illusione di 'eccipienti' che la mente si inventa - e ti smaschera - o che l'uomo si inventa: la prostituzione a basso prezzo, la droga (paradossalmente non il farmaco, che è ben controllato nei laboratori) a basso prezzo, il plagio che fa crollare persone fragili, e ti senti eroe, ma di cosa? È tutto sofferenza se non si impara ad accettarla, ma senza reagire. Se reagisci il dolore si amplifica, nasci e vivi da perdente!

- Quanto dice mi suggerisce una domanda forse un po' cattiva: non crede che se invece si avesse un tipo di vita spensierato, privo del dolore, delle rinunce eccetera, la concezione del filosofo cambierebbe o sarebbe opposta? In altre parole, un vero filosofo non dovrebbe evitare di farsi influenzare, nel pensiero, dalla propria vita? Prendiamo ad esempio Cioran, cui lei si è ispirato in passato: ha avuto una vita difficile e il suo pensiero ne è stato profondamente influenzato. Avrebbe dovuto distaccarsene.

- È nella spensieratezza che si erge la verità assoluta. La spensieratezza è nella top ten dell'inutile. Tutti si è inutili, poi ci sono gli inutili elevati all'ennesima potenza, lì apprendi la brutalità del vivere. Cioran, nel paradosso non ebbe vita difficile; vicino alla dittatura, quando finì, dovette scappare in Francia, dove divenne un vate. Forse l'unica difficoltà fu il suo soffrire di insonnia, mi creda non esiste stilnox (un farmaco contro l’insonnia – N.d.A.) che faccia riposare bene.

- Veniamo adesso al nuovo libro. “Insonnie” era poesie, prosa, aforismi. Quest'ultimo in che forma è presentato al lettore? Lei, se ho ben capito, lo avrebbe voluto scrivere prima di “Insonnie”: perché?

- Me ne sono accorto negli anni; frattanto che ultimavo Insonnie, che mi diede la notorietà, iniziavo a scrivere il prossimo, appunto Regressione suicida, che uscirà il 14 ottobre. Era una sorta di interpretazione e propedeuticità all'uscita di Insonnie, desideravo onorare Sgalambro, col quale i rapporti divennero stretti e collaborativi, e Cioran, che mi segnò. Oggi asserisco che avrei dovuto scriverlo prima; avrei così preparato il lettore ad un percorso regolare: prima gli ispiratori, poi la mia tesi e infine l'opera (Insonnie) e invece ho fatto tutto al contrario, ma non è stato negativo. Insonnie ebbe un impatto notevole (tradotto in Norvegia, dove il tasso di suicidi è il più alto d'Europa, e in Spagna, dove è il più basso) e sull'onda di Insonnie, ancora - in nona edizione per i tipi di Cuecm, ma coi diritti acquisiti da Bompiani – disponibile, era quasi un dovere far sapere al mio pubblico l’evoluzione del mio percorso. E, come sempre, ho fatto alla rovescia. Ecco che si determina la filosofia pura: il filosofo non è lo sciocco universitario che vive di citazioni e osa offendere il simile, magari il professore delle scuole medie superiori sicuramente è migliore, ma sempre pessimo rispetto al puro.

- Quindi questo libro parla del suo percorso a ritroso che porta al “suicidio” di ciò che lei era prima? Cioè: il filosofo polemico, dissacratore degli accademici e nemico delle università è morto e sepolto? Può spiegarsi meglio?

Polemico lo sono soltanto contro il baronaggio accademico. Cercherò  di essere onestissimo: nelle università insegnano persone che quando ti presenti, almeno ai miei tempi, con il libretto dove non è scritta una maturità liceale, ti rispondono male e si accaniscono. Questo potrebbe esser a dir loro pedagogico, perché rinforza; ma mi dica un po', una persona che viene da una famiglia medio umile e non ha chi gli apre la strada e magari ha fatto degli studi tecnici o professionali, perché deve subire tale umiliazione quando, andando all'etimologia di 'universitas', e ricorrendo alla legge che permette (permetteva?) a tutti di poter cambiare il proprio corso di studi, per qualsivoglia motivo, è patente, a questo punto solo sulla carta, la possibilità di evolversi?
Glielo dico io, I meschini che insegnano, devono preparare la strada ai figli dei figli dei figli et alii, al fine di aprirgli la porta della cattedra così da avere sempre più potere: il controllo. Poi leggi le cronache e tutto si chiarisce. Non ci dimentichiamo di docenti che promettono esami a studentesse, dietro servigi sessuali (io sono di Catania, credo che lei abbia seguito lo scandalo del docente di Scienze Politiche, incastrato dagli inviati di un noto programma televisivo). Ma non è solo questo....

- Non divaghi, Fazio. Ci parli di questo libro.

Quella del suicidio è la metafora spirituale che ho realizzato. Regredire ha, sovente, una accezione negativa, ma è anche tornare indietro, senza volontà, sino al momento della nascita, quando respiriamo l'aria di questa infernale bolgia; pertanto, si realizza questa retroazione nel momento in cui veniamo al mondo – nuovamente. Non stiamo nascendo, ma ci stiamo suicidando, anche se in verità l'esser-ci, alla maniera di Heidegger, essendo gettatezza nel mondo, è già di suo un atto di contaminazione e di induzione al suicidio. Ecco, la retroazione suicida è la consapevolezza che non stiamo vivendo, ma stiamo suicidandoci.
Più dettagliatamente è un assunto stupido: si viene al mondo e ci si inventa qualunque cosa, dalla disperazione del povero all'oltraggio del presuntuoso, legato a fogli di carta colorati: il denaro. E' tutto introiettato. L'unica cosa che ci rimane è assistere passivi e riflettere; si è puri, quando si ha il coraggio e la forza di essere sinceri (che coincide con quando ti diranno: pazzo, volgare, impreparato, stupido et similia). Subito giungono gli attacchi e subisci... però sei qui e non ti rimane che viverci, in questo posto orribile che è il mondo.

- Credevo si fosse separato dal pensiero del suo maestro Sgalambro, ma mi pare che qui lo ricalchi.

- Ecco, in Regressione suicida, il sottotitolo è "Dell'abbandono disperato di Emil Cioran e Manlio Sgalambro", io prendo le distanze da Sgalambro: è il filosofo più illuminante e non filosofo, è un teatrante da colpo di teatro, stranamente in alcune svisature ontologiche era anche facilmente condizionabile, e questo sottomettersi gli dava la spinta per reagire filosofando, un genio!

- Ha scritto il libro con l'obiettivo di separarsi ufficialmente dai suoi maestri? Quanto il libro esprime questa necessità e quanto invece riflette il suo percorso di vita?

- È il paradosso di Ricardo: non mi separo dalla loro tesi, ma mi separo dal rischio cui andò incontro Sgalambro, quando tetraplicò, ad esempio, la propria immagine, grazie alla collaborazione col cantante Franco Battiato: sicuramente fu proficua e prolifica, ma la cinicità intellettuale venne meno. Si perse un riferimento nel pensiero. Mi separo più dall’azione, il  coup de théâtre in Sgalambro, ha proliferato masse di ignoranti e di idolatri, se ne accorgeva e si divertiva. Da Cioran non preferisco stare alla larga, ma neppure idolatrarlo…. Conosco troppi imbecilli che si fanno forti a colpi di citazione dei due maestri miei, imbecilli che gironzolano nelle università come sviolinatori dei docenti che gli permettono di esaminare uno studente che magari è amico loro e il 30 e lode è garantito, se è uno che gli ha sottratto la fidanzata, allora è meglio che il tipo cambi università. Imbecilli che vantano un incontro con Sgalambro ad esempio e poi gli omaggiano un libro, che misantropicamente rimane a marcire nel cortile dei quartieri più bassi della loro vanità.  E’ questo il sistema che non mi garba. Poi il loro dottorato finisce e tu li incontri fuori e dovresti picchiarli a sfinimento. Ecco, la provocazione è facile, se fine a se stessa, devi smascherarti, devi lanciarti intellettualmente, anche se gli argomenti possono sembrare bassi, anche se hai il nemico di fronte a te. Sgalambro disse che "la mafia era l'unica forma di economia possibile", prima contestato da Sciascia e poi avallato dallo stesso, mi piaceva molto: diceva una condizione reale e veritiera. Dopo si è fermato, e questo stop lo si è evinto quando ha iniziato la collaborazione con il perbenista Battiato.
Cioran, invece è un santo. Nulla da dire, ma separarsi è indispensabile: non potrei superarlo, ho condiviso con lui solo una grave patologia… la perdita del sonno.

- Insomma, Fazio: ci eravamo illusi che in questo libro si cospargesse il capo di cenere e diventasse docile e mite; niente di tutto questo, mi pare. La sua vis polemica non muore mai, altro che suicidio…

 - Si sbaglia. Sgalambro dopo un’intervista e un articolo sul giornale LA SICILIA, mi disse che il giornalista (Luca Ciliberti n.d.a.) era bravissimo, che lo leggeva con interesse e che non aveva errato di una virgola, però si infastidì per una sola scritta: "Dissertazione col suo 'discepolo' Fazio"... In toni duri mi disse: "non esiste un maestro e un discepolo, solo uno dei due può esistere, l'altro muore". Da quel momento una isterica dalle sembianze spirituali ottenne la sua vittoria facendoci allontanare, io ho continuato ad esistere autonomamente, affermandomi senza necessità di rubare citazioni a destra e manca per costruire la mia tesi, l’isterica non si è calmata, ma le ho riservato il colpo a sorpresa, legga un po' chi cura prefazione, postfazione, nota e testimonianza del mio nuovo libro, persone che l’isterica pensava fossero vicine. Comunque, poi le cellule si riducono e non più producono e la carcassa che siamo muore: quello che fu definito il discepolo, io, rimane discepolo e non c'è più maestro.

- Ha intenzione, come è accaduto per Insonnie, di provocare sdegnati abbandoni delle sale in cui farà le presentazioni del nuovo libro?

Ma no... questo di cui parla accadde solo  a Ragusa (fui tacciato di nazismo), Avellino (usai un linguaggio volgare) e a Modena, dove augurai alla comunità di Vincenzo Muccioli di sfollarsi, sperando che gli ex tossicodipendenti che vi si recavano per guarire, scappassero dopo pochi giorni, per vivere la vita scelta, piena di sogni e viaggi della mente, grazie alla intromissione della droga.
Poi tra inviti, lectio, presentazioni, sempre e solo ottimi dibattiti... 
"Permette una parola"?
Spettacolo all'aperto svoltosi
a Catania, con la partecipazione di
Salvatore Massimo Fazio, estate 2016.
insomma, se riesce a trovarli, vada a vedere le immagini e i video girati nelle università (dove mi divertivo a insultare anche la poltrona dove sedevo), o librerie come la Mondadori di Catania, o la Feltrinelli a Trieste, stracolme entrambe...
Le regalo una chicca. C'è anche un aspetto profondamente intimo in Regressione Suicida: il tornare indietro al punto di nascita, che in parallelo prevede la giovinezza di una mamma, non anziana, ma stanchissima e non in ottima salute.
Il libro ha già circa 700 prenotazioni e sono già 11 gli incontri previsti; in Campania sarò il 27 ottobre a Torre del Greco, ospite dei tipi di UNIVERDE, e il 28 ottobre ad Avellino, presso la libreria “L’Angolo delle storie”; magari viene e si accomoda al tavolo dei relatori?

- Volentieri, sarà un piacere. La saluto e la ringrazio.

- Stia bene, o si lasci contagiare dalla realtà.


1 commento:

  1. Il titolo è bello e forte e lui lo conosciamo, provocatore che si rinnova sempre. Già prenotato on line.

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